11° Edizione / 10-20.10.2024
Manijeh Hekmat, considerata una delle figure centrali del cinema politico iraniano, ha lavorato sin da giovane come produttrice e autrice per oltre 25 progetti cinematografici. Il suo lungometraggio d’esordio, Women’s prison, realizzato nel 2002, è stato presentato a più di settanta festival internazionali e premiato con l’Amnesty International Award al Festival di Rotterdam. Tutto suo lavoro, come regista ma anche come produttrice, è costruito con grandissima devozione e ostinazione. In un paese in cui le libertà sono represse con la violenza, il lavoro di Manijeh Hekmat assume ancora più valore, specialmente oggi che è costretta ad operare nella clandestinità a causa del divieto del governo irariano che le ha imposto la chiusura delle sue società. Manijeh Hekmat fa un cinema che prende forza dalla realtà e concepisce l’arte come politica, che affonda le sue radici nella società.
Il FFDUL ha voluto dedicare il Premio a tutti gli artisti e a tutte le donne, in un momento molto oscuro della società contemporanea iraniana, omaggiando proprio una regista che, attraverso il cinema, ha intrapreso un viaggio resistente e tenace. Un percorso in cui racconta la società iraniana con uno sguardo attento alla condizione femminile, un cinema che non si limita a rappresentare la realtà ma piuttosto la sfida, la esplora e la mette in discussione in maniera audace e incisiva. I suoi film invitano gli spettatori a riflettere sulle ingiustizie, le discriminazioni e le sfide che la società affronta, incoraggiandoli a considerare il proprio ruolo come cittadini attivi e partecipi nel promuovere un mondo più equo e giusto.
Neary Adeline Hay, giovane regista e produttrice franco-cambogiana, nasce da un matrimonio forzato in un campo di sterminio in Cambogia e cresce nella periferia di Parigi. Studia belle arti e arti applicate. I suoi due primi lungometraggi Angkar e Eskape, sono stati presentati in tutto il mondo.
La regista ha consacrato fino ad oggi gran parte del suo lavoro al genocidio cambogiano, alla ricostruzione difficile della sua identità personale e a quella di un intero popolo profondamente segnato da quei tragici eventi. Nel suo lavoro esprime la fragilità di una vicenda familiare intima, affidandoci, con estrema delicatezza, il doveroso testimone di una memoria storica da tenere in vita e da cui non possiamo sottrarci.
Nato nel 1979 in Romania, Nanau si trasferisce in Germania all’età di 12 anni. Sempre in Germania studia cinema e fonda, nel 2007 la sua casa di produzione, nel 2010 debutta alla regia con il film The World According to Ion B. Il suo ultimo film, Collective, è stato il primo film rumeno candidato agli Oscar in due categorie (Miglior documentario e Miglior film in lingua straniera).
Il FFDUL ha consegnato il Premio Diritti Umani a Nanau per la sua attenzione ai margini e alle lotte quotidiane dei protagonisti dei suoi film. Con Collective dimostra una fortissima volontà di mostrare un giornalismo coraggioso e libero, che svela corruzione politica e menzogne del governo rumeno nei confronti di un intero popolo.
Nanau, nel 2021, ha rifiutato, per coerenza alle sue battaglie e a causa del mancato sostegno del governo rumeno all’industria cinematografica durante la crisi del Covid, la Medaglia al merito culturale che il presidente voleva assegnargli per il suo ultimo film.
Jason DaSilva nasce nel 1978 a New York da genitori di origine Goan cresciuti tra Kenia e Stati Uniti. Studia arte e musica in Canada e poi si trasferisce a New York. Il suo film di laurea Olivia’s Puzzle partecipa al Sundance Film Festival e in quattro anni realizza ben quattro film di successo.
È un regista promettente e viene subito notato da critica e pubblico, ma nel 2006 gli viene diagnosticata una sclerosi multipla progressiva cronica e da quel momento la sua vita cambia, spingendolo a raccontare l’impatto improvviso, il lento progredire e le conseguenze causati della malattia con i titoli When I walk (2013) e When we walk (2019).
Il Film Festival Diritti Umani Lugano ha premiato il regista per il suo costante impegno, il suo coraggio e l’attivismo dimostrati in tutti questi anni, nonostante le sue precarie condizioni
di salute, mettendo in scena il suo corpo, la sua passione per il cinema e i timori che condizionano tutti coloro che sono costretti a vivere il disagio dell’essere disabili e di perdere il controllo sul proprio corpo.
Fazili è un cineasta afgano che durante il suo percorso artistico è stato regista di cinema e teatro, collaborando anche alla realizzazione di serie tv nel suo paese. I suoi film, in particolare Mr. Fazili’s wife (2011) e Life again! (2009), si concentrano sui diritti delle donne, dei bambini e dei disabili e hanno ottenuto importanti riconoscimenti internazionali.
Nel 2013, a seguito della realizzazione del film Peace in Afghanistan, viene condannato a morte dai talebani insieme a tutta la troupe del film. Fazili decide allora di fuggire dall’Afghanistan insieme alla sua famiglia e di dirigersi verso l’Europa, in un viaggio che dura tre anni e che sarà il soggetto del film Midnight Traveler, girato da lui e dalla moglie Fatima con uno smartphone, l’unico mezzo che avevano a disposizione.
Il FFDUL è riuscito a consegnare il Premio Diritti Umani per l’Autore a Fazili di persona, nonostante il suo statuto di rifugiato in Germania, per lanciare un segnale forte e di piena solidarietà del FFDUL a favore di tutti coloro che hanno vissuto o stanno vivendo la sofferenza, la paura e l’umiliazione come una tempesta che sembra non avere fine. Il lavoro e la storia di Hassan Fazili possono incoraggiare quello spirito di accoglienza che in questi anni viene continuamente messo in discussione da politiche violentemente ostili nei confronti dei migranti e del diverso.
Imhoof è un autore svizzero riconosciuto nel panorama cinematografico mondiale. Due volte candidato all’Oscar con La Barca è piena (anche Orso d’oro alla Berlinale del 1981) e More Than Honey (2012). Nato nel 1941 ha realizzato più di venti film, l’ultimo è un titolo di gran successo, Eldorado, realizzato nel 2018.
Nella sua straordinaria carriera, Markus Imhoof ha saputo immergersi nelle difficoltà umane con coraggio e profonda condivisione, invitando lo spettatore a scoprire le realtà più complesse e oscurate della società nei paesi occidentali, passando dal documentario alla finzione al teatro, in un percorso artistico coraggiosamente coerente.